Incontriamo Roberto Stelluti in una giornata di questo strano inverno-primavera in una cornice stupenda, a Portonovo e chiacchieriamo seduti vicino al caminetto acceso dell'Hotel Emilia.
Stelluti è un giovane incisore di Fabriano di grande talento che Leonardo Sciascia ha definito: "Un acquafortista vero, un acquafortista nato". Non è facile incontrare artisti altrettanto rigorosi nel proprio lavoro. Roberto Stelluti ha compiuto la sua scelta di vita già da molto tempo. Il racconto della sua esperienza ha inizio quando appena quindicenne era fortemente impressionato dalla madre che dipingeva. "Dipingevo ad olio e ad acquarello. Guardavo con grande attenzione il pennello che scorreva sulla tela o sul foglio di carta e mi colpì il fatto che da piccoli movimenti fosse possibile creare un paesaggio, un volto, una natura morta... Per me rappresentava quasi un fenomeno di magia che mi affascinava".
Dunque fu questa la molla che fece scattare in te la voglia di diventare artista?
"Si, anche se, a differenza di mia madre, trovai a me più congeniale la tecnica dell'incisione, soprattutto, dopo aver visto la riproduzione della "Crocifissione” di Rembrandt di cui esistono due stati. Il primo inciso alla puntasecca (realizzata con la punta d'acciaio direttamente sulla lastra senza l'intervento dell'acido) e un secondo stato, invece, inciso all'acquaforte (cioè con l'acido che “morde" la lastra penetrando soltanto nei solchi tracciati sulla vernice di cui è ricoperta). Fu così che ordinai da un artigiano del ferro una lastra di rame per eseguire una copia di quella famosa Crocifissione".
E come andò?
"Il tutto si risolse in un autentico disastro perché, una volta disegnata la lastra, per la «morsura», invece dell' acido nitrico, usai quello muriatico e così, quel mio primo lavoro, andò letteralmente in... fumo, assieme ad una serie di lenzuola che mia madre aveva messo ad asciugare nella soffitta di cui mi servivo come studio-laboratorio".
Poi cosa successe?
"Feci ripetuti tentativi a vuoto. Ma non mi arresi. Ebbi, in seguito, la fortuna di conoscere un incisore di Fabriano, Claudio Polzonetti, poi diventato mio carissimo amico. Mi regalò del materiale e frequentando il suo studio appresi la tecnica ed imparai anche i primi segreti del mestiere".
La svolta quando avvenne?
"Nel 1972 quando frequentai il corso estivo all'Istituto d'Arte di Urbino sotto la sapiente guida di Walter Piacesi. Qui conobbi altri giovani incisori".
E l'incisione ti dava già da vivere?
"A quell'epoca lavoravo in una fabbrica di ceramiche di Fabriano. Dopo il lavoro passavo anche sei o sette ore a disegnare e a stampare lastre incise all'acquaforte. Il tempo non mi bastava più. E fu così che, consigliato dal mio carissimo amico e pittore Aurelio Ceccarelli, lasciai il lavoro in fabbrica e mi dedicai completamente all'arte".
Hai avuto grosse difficoltà a trovare spazio in un mondo certo non facile, soprattutto, per i giovani?
"Potrà sembrarti strano ma io direi di no. Ho conosciuto tante persone che hanno apprezzato il mio lavoro e ciò è stato fondamentale. A questo proposito non posso non ricordare con immutato affetto e riconoscenza un uomo straordinario come tuo padre con tutto ciò che ha rappresentato, per me, incontrarlo".
E con altri artisti in che rapporti sei?
"Con quelli che conosco personalmente ho rapporti di reciproca stima".
Puoi farci alcuni nomi?
"Una grande emozione fu per me, che per vedere delle mostre importanti andavo spesso a Roma, poter salire in due occasioni le scale dello studio di Renato Guttuso. Un artista eccezionale. Un uomo molto generoso. Mi regalò, persino, due suoi disegni che conservo gelosamente come straordinaria testimonianza umana ed artistica. Sono legato da amicizia sincera anche ad Ennio Calabria. Stimo molto il lavoro di Fabrizio Clerici, Renzo Vespignani, Ventrone, Ugo Attardi, Cremonini, Luciano De Vita, Walter Piacesi (soprattutto per le acqueforti degli anni ‘50 e '60) e il lavoro di un architetto fiorentino, Cacciarini. I due maestri dell'incisione moderna ritengo siano Luigi Bartolini e Leonardo Castellani (quest'ultimo, secondo me, superiore allo stesso Morandi). Ammiro tantissimo Piero Guccione. Ho trovato di una bellezza unica tutto il ciclo che questo grande artista ha dedicato a Friedrich. Inoltre nutro un amore viscerale per gli incisori vissuti in Germania ed in Olanda tra la fine del ‘400 e l'inizio del ‘600 che hanno una visione fantastica del dato oggettivo".
Quanto tempo impieghi per disegnare una lastra?
"Anche diverse settimane. Perché il mio è un lavoro di "scavo" sia del paesaggio, sia della natura morta che mi porta a visualizzare un mondo, o meglio, un sottomondo che si può vedere soltanto dopo un lungo studio e meditazione".
Cosa fai per concentrarti in questo lavoro che io definirei "certosino" nella sua complessità?
"La musica classica è la mia linfa ispiratrice. Ne rimango assorbito completamente e ciò contribuisce, in modo perfetto, al mio isolamento dal mondo esterno. C’è anche una località che un giorno per caso ho conosciuto che sembrava essa stessa il soggetto di una mia incisione e che per me è stimolante e preziosa. Si chiama Pascelupo, alle falde del Monte Cucco, in Comune di Scheggia dove, non appena mi è possibile, soprattutto in estate, vado a ricaricare la mente e lo spirito".
Attendono, ora, Stelluti due importanti impegni ed una promessa. Il primo dei due impegni è una mostra personale che sì apre oggi alla Galleria Pananti di piazza Santa Croce a Firenze dove sarà presentato dallo storico dell'arte Federico Zeri. Il secondo è la grande mostra che sarà allestita nel Palazzo del Buon Gesù dal 16 aprile voluta dall'assessore alla cultura del Comune di Fabriano Sergio Parca e che si avvarrà del patrocinio della Provincia di Ancona, della Cassa di Risparmio di Fabriano e delle Cartiere Miliani. La promessa è che tra qualche tempo lo ritroveremo ad Ancona con una personale in cui, per la prima volta, accanto alle sue bellissime acqueforti, presenterà anche alcuni suoi disegni eseguiti a matita.
Concludendo chiedo a Roberto Stelluti qual è stato il suo più bel giorno della sua vita come artista: "Nel 1984 il giorno in cui mi venne consegnata la Ginestra d’Oro del Cònero". Immaginavo che questa sarebbe stata la sua risposta e questo è il motivo per cui gli ho chiesto di essere qui oggi, in questa stessa sala dell’Hotel Emilia, in cui sono passati gran parte dei maggiori artisti e scrittori d’arte italiani e che per lui ha rappresentato una tappa fondamentale da cui ha saputo andare sempre più avanti, con determinazione e umiltà, facendo leva sulla sua intelligenza e sulla sua capacità tecnica, doti rare e straordinarie allo stesso tempo.
Roberto Farroni
Un reticolo di segni racchiude vegetali e rovine
«Il Corriere Adriatico»,
16 aprile 1988