La chiave di lettura più fuorviante, perché in apparenza legittimata dalla puntualità di annotazione e scandaglio del linguaggio incisorio; l'interpretazione più ingannevole - e non voglio dirla perniciosa, se è vero che l'artista in qualche modo si compiace di sedurre il riguardante con la trappola del trompe l'oeil - sarebbe di considerare le spettacolari acqueforti di Roberto Stelluti, segnatamente le tavole di predilezione botanica degli anni Novanta qui documentate, come una sorta di fascinoso itinerario naturalistico. Ossia un atlante iconografico reso attraverso gli strumenti antichi della punta e degli acidi, degli inchiostri e dell'imprimitura su carta anziché ricorrendo alle "matite" elettroniche delle moderne "camere ottiche" (sofisticate apparecchiature in grado di immergersi nell'imo della materia formata a radiografarne la più segreta struttura, oltreché di percorrerne la superficie e rilevarne la minuta morfologia con un potenziale di definizione visiva precluso all'occhio umano).
Sarebbe improprio e inconcludente assimilare allo sguardo distaccato e oggettivo dello scienziato quello egualmente analitico, per quanto diversamente orientato e finalizzato, d'un incisore pur proclive - e in piena consapevolezza - a restituire senza palesi travisamenti l'immagine congrua, e vorrei dirla fedele, della natura nella sua qualità di teatro squisitamente fenomenico. Almeno quello spaccato di natura cui l'incisore può accedere con l'ausilio di "protesi" del tutto usuali, da considerarsi oggimai primitive, quali sono le banali lenti d'ingrandimento che consentono ricognizioni profonde appena oltre la normale soglia percettiva. Stelluti è solito mettere a fuoco con chiarezza d'enunciato il ventaglio dei propri soggetti. Ha inciso aperture grandangolari su paesaggi sconfinati, con analogo nitore restituendo in dettaglio dovizioso i primi piani e in rapida notazione l'evidenza lontanante dei fondali, e si è lasciato sedurre dai vertiginosi prospetti alpestri che ricordano le dirupate vedute di Seghers, raccogliendo l'eco romantica della deriva della navicella umana nell'immensità dell'essere. Si è aggirato con spirito allarmato nei territori interdetti, laddove la città trapassa nella campagna, e vi deposita in orridi cumuli i propri rifiuti, eloquenti testimonianze, per l'archeologia del futuro, delle insensate liturgie del consumo, ma ha anche immaginato tempietti romiti invasi da una lussureggiante vegetazione, riproponendo con sottile gusto esotistico la meditazione sul tempo e sulla vanità della fama mortale, cui fanno da contrappunto le ricognizioni ravvicinate sull'intrico di foglie e fiori che invade i muri dei giardini a primavera, e sono un messaggio di letizia e di rigenerata vitalità. Nel suo campionario tematico non mancano le immagini di studio nella classica tradizione dei generi. Vi sono sapienti e persino virtuose composizioni con oggetti quotidiani, disposti in solenni e silenti architetture, oppure arbusti e fiori disseccati che appaiono come mirabolanti "macchine" vegetali: girasoli dalla struttura alveolata di incredibile complessità, aerei "soffioni lunari" preziosamente trinati, esili arbusti sfrangiati che irradiano in ogni direzione dello spazio le loro foglie acuminate.
Quale che sia il soggetto, Stelluti ama comunque delimitare la porzione dell'orizzonte visibile che egli intende percorrere e attraversare, per fissarne l'immagine con il medesimo rigore operativo di chi nel laboratorio della natura seleziona campioni da sottoporre al vaglio metodico dell'indagine scientifica. Ma la linea di demarcazione, il recinto tra la lastra che polarizza la sua attenzione cognitiva e l'illimitata estensione del mondo fisico circostante, del quale lo specchio inciso si fa luogo rappresentativo, non è un margine preclusivo. Anzi è una soglia che induce l'attraversamento, che ispira il tradimento mentre pretende la corrispondenza figurale, sino all' acribia dello sguardo. Nel senso che paradossalmente stimola e agevola, nonché impedirla, la diversione di percorso, la variazione di incidenza ottica che consente di accedere a ulteriori livelli del reale.
La delimitazione del campo, pertanto, è condizione necessaria - ma vorrei dirla privilegiata - perché tracimando l'artista possa attuare la strategia a lui congeniale dello sconfinamento di senso, nella manifesta volontà di esasperare il rapporto di corrispondenza con il vero traducendo le tessiture e le connessioni strutturali sottese alle parvenze sensibili, ai simulacri talvolta sontuosi delle cose. Nella tolleranza o nel gioco tra fedeltà e tradimento è l'ambiguità del linguaggio incisorio, l'anomalia di uno sguardo analitico che mira all'assunzione poetica della realtà: dimensione inedita e sostanziale non rilevabile alla consueta perlustrazione, per non dire all'uso distratto, forse persino accidioso che contrassegna il nostro rapporto con il mondo in cui siamo immersi, non sapendo viverlo altrimenti che come continuum indistinto, paesaggio privo di identità morfologica, di una qualche notabile emergenza in grado di attirare e in qualche modo trattenere la nostra attenzione.
Il fatto è che Stelluti sa desumere dalla ricognizione analitica sulla natura immagini che ne rispecchiano la meravigliosa complessità. Come un moderno argonauta, egli volge la prua alla ricerca del vello d'oro, verso una regione remota che può reperirsi anche nel giardino di casa o in un angolo dello studio, se solo si sappia scorgere l'intrico dei percorsi imprevedibili, l'eccitante complessità del reale nell’apparente monotonia del paesaggio e della topografia quotidiani. Stelluti, invero, è incisore di labirinti. Non a caso una della sue immagini più significative, già segnalata da Federico Zeri, è quell'incredibile impalcatura lignea che sotto specie di “Omaggio a Gian Battista Piranesi” costituisce la visualizzazione delle infinite prospettive possibili alla mente disposta alle ipotesi dell'immaginario. La dimensione del meraviglioso non si rivela in Stelluti con l'oggetto bizzarro, l'aberrazione o l'ibridazione della natura che assume l'apparenza del mostro da Wunderkammer. Essa è piuttosto intrinseca a ogni aspetto della natura, quando si sappia svelarne le segrete connessioni permutandole nella sottilissima trama dei segni incisi.
L'acquaforte è la tecnica incisoria che meglio corrisponde alle esigenze analitiche e alle intenzioni espressive di questo artista piegato sul vero per trascenderne i limiti ottici. Sulla lastra di rame, in virtù della frequenza e varietà tipologica del segno e grazie al governo sensibile delle morsure, Roberto Stelluti sa pervenire alla più sottile e delicata modulazione della tessitura grafica, simulando non più solo l'inesauribile varietà delle forme e delle strutture della realtà sensibile, ma l'impalpabile evoluzione della luce che filtra negli interstizi della materia e ne pervade le fibre, facendole vibrare come consente il gioco combinato del segno filamentoso e granulare, quando sia condotto con leggerezza e sovrana sapienza dalla mano ispirata di un artista incisore.
Nicola Micieli
Roberto Stelluti
catalogo della personale alla Galleria «Il Bisonte»,
Firenze, 1999