L'idea di esporre, alla galleria Pananti, le incisioni di due artisti "eccentrici" come Gianni Cacciarini e Roberto Stelluti, rivela un'intenzionalità sottilmente polemica e quanto mai attuale, in primo luogo proprio per la scelta di proporre esclusivamente opere di grafica di invenzione, come espressione di un linguaggio completamente autonomo e svincolato dalla pura e semplice riproduzione di esemplari pittorici. È questa una risposta precisa (affidata oltre tutto al rigore del "bianco e nero") alla confusione sovrana, che domina il sistema dell'arte e il mercato, tra grafica originale e multipli dovuti a procedimenti fotomeccanici.
Inoltre, Roberto Stelluti e Gianni Cacciarini propongono una creatività "appartata", sia nei temi che nella perfezione tecnica, vibrante di risonanze profonde e capace di generare una dimensione estetica chiaramente ostile alle immagini inguardabili, noiose e banali di tanta arte pseudo moderna.
Per Cacciarini e Stelluti possono ben valere queste parole pronunciate dalla tragica figura del pittore Frenhofer in "Le chef-d'oeuvre inconnu", straordinario racconto di Honoré de Balzac: "La bellezza è cosa severa e difficile, che non si lascia conquistare alla prima: bisogna aspettare il momento in cui sia ben disposta, spiarla, starle alle costole e legarla solidamente per costringerla alla resa". Ogni loro opera affronta questa ardua impresa.
(...) "Osserva la forma esattamente, tanto il piccolo quanto il grande, e non separare il piccolo dal grande, ma piuttosto l'insignificante dal significante…”. Queste parole di Caspar David Friedrich, il sommo pittore tedesco prediletto da Roberto Stelluti, introducono perfettamente ad uno dei "segreti" delle incisioni del giovane artista marchigiano. La ricerca quasi ossessiva del frammento e del particolare nelle nodosità di un ramo o nella vita silenziosa di un sottobosco esprime, più che una minuziosa analisi, soprattutto l'attenzione al respiro di ogni forma materiale, fino a quella infinitesimale. Attraverso l'idea romantica, formulata da Novalis che "in ogni fiore, in ogni sasso si nasconde un messaggio cifrato", Stelluti è arrivato a far coincidere l'infinitamente grande con l'infinitamente piccolo (e del resto la scienza moderna con i frattali, figure matematiche di dimensione frazionaria, ha dimostrato l'affinità strutturale di microcosmi e macrocosmi).
Quello che Stelluti vede davanti a sé, sia esso un paesaggio acquitrinoso o una villa fatiscente e abbandonata o alcuni fiori secchi, è sempre filtrato più o meno consapevolmente attraverso un personale senso del "sacro" come mistero da indagare e inseguire, che si nasconde dovunque. Questa attenzione "atomistica" segue la metamorfosi di ogni forma d'esistenza, trasformando l'apparente assenza di vita in espressione silenziosa di caos vitale, con l'affollarsi di piante ed erbacee o nel groviglio inestricabile di rami, ad esempio. E a ciò si ricollega il motivo della crescita organica che pervade le incisioni di Stelluti, con il pullulare di segni e puntini che ricreano le cose dall'interno, fino a giungere a quell'horror vacui della lastra e dell' esemplare stampato a cui ha già accennato Fabrizio Clerici.
Nell'acquaforte intitolata "Sussurri tra le rovine" gli alberi maestosi e immensi come montagne sembrano dover "inghiottire" inevitabilmente le misere vestigia umane: Stelluti arriva così alla visione simbolica e l'incisione diventa lo specchio di un'apparizione nata dall'identificazione dell'"occhio" fisico con quello dello spirito.
Roma, marzo ‘93
Gabriele Simognini
Cacciarini. Stelluti
Edizioni Pananti,
Firenze, 1993