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Le incisioni di Roberto Stelluti sono da ascriversi a quella zona di "recupero" in cui oggi, fortunatamente, si impegnano parecchi giovani artisti. Quanto mai preziose e, all'apparenza, impietose, esse si impongono per particolare prestanza.


Ne ho alcune sotto gli occhi, le osservo, le scruto, adopero una lente per discriminare i segni di che sono conteste: a volte sono segni decisi e precisi, ma più largamente sono innumerevoli serie di minutissimi punti, e i segni scanditi, ora diritti, ora curvi e anche rigirati e intricati, servono di guida ai punti e li conducono ad ottenere le più lievi variazioni chiaroscurali; e poiché le lastre sono di grande formato e quindi ampi gli spazi da campire, l'esecuzione dell'opera deve richiedere lunghi tempi e vigilata presenza.

Incisioni composite le sue - lo avverte egli stesso -: infatti ha usato "acquaforte e acquatinta” ed è intervenuto a tratti, con la "puntasecca". Padrone quindi della tecnica e dei suoi rendimenti al fine di piegarla a risultati voluti.


Ed egli è così giovane ancora! Le rappresentazioni che ci offre, la tematica che svolge è quanto mai attinente a problemi odierni da tutti avvertiti ed intesi, una denuncia e insieme un compianto. Ogni parte della

"natura" ch'egli tocchi, siano erbe od alberi, o acqua o zolle di terreno, rivela - e non in maniera sommaria e allusiva, ma ben sensibile ed afferrabile - quasi uno spasimare segreto; la cosa viva soffre per l'incuria dell'uomo e di più per quanto le viene imposto con la sopraffazione di scorie, detriti, ed edilizia meccanizzata e trionfante.


Questo, immediatamente tu avverti nelle due "Periferie", nelle "Strada e ruscello del Lazzaretto” e in quella periferia romana intitolata “Sopraelevazione a San Lorenzo"; e ti attardi a considerare la perizia del distribuire le parti, il valore assegnato a ciascuna parte che diviene "espressione", e d'ogni particolare anche minimo puoi considerare la definizione esatta della forma e individuare la "materia" di cui essa è composta, e ancora di più, di più, captare alcunché di segreto, quasi umori che ne escano, quasi essenze che si tramutino.


Giampiero Donnini in una precedente presentazione ha ben definito questa umanissima presenza dell'artista. Non è occhio di fotografo il suo - anche se a volte per comporre il suo quadro può essersi avvalso di fotografie. Dall'ingombro dei rifiuti si sprigiona l'oppressione delle macchine sventrate, delle lamiere lacerate, delle latte svuotate, dello scatolame sfondato, e sono suggeriti gravezza bituminosa e malodore di materia inquinata ed inquinante; la terra reagisce con una specie di germinazione tumescente; l'edifizio di cemento in costruzione sorge come vagheggiata visione, ma ogni albero mozzato o disseccato ciascuno con una forma ascensionale stronca, è ormai cosa morta; il prepotente domante nerissimo nastro della ferrovia sopraelevata schiaccia lo squallore dei caseggiati, ma non nasconde l'immondezzaio brulicante.


In altra stampa che lo Stelluti mi mostrò fuggevolmente era visione di campagna abbandonata, una costa rocciosa irta di rovi, una ischeletrita rovina di chiesa; "nido di vipere" - egli mi disse - ed ogni parte sembrava davvero occultare velenosa insidia.


Vi sono poi nella sua produzione altre immagini in cui "il segno della morte" è palese, ma - vorrei dire - in maniera più distaccata "oggettiva" sicché potrebbe apparire arido compiacimento leggermente decadentistico - proprio per il preziosismo formale con cui esso è stato definito; e non solo nella stampa in cui il teschio umano campeggia, ma anche in quella con i girasoli secchi e il ramarro. Dell'animaluccio morto puoi considerare la testa irrigidita, l'occhio spento, le cangianti squame della pelle, dei fiori la trasfigurazione delle parti enumerate ed individuate con la precisione di un anatomista, del tavolo su cui il tutto è appoggiato, l'essenza del legno e, dai "nodi" scoperti e piallati contare gli anni della vita di un albero che è stata troncata.

È dunque nell'opera dello Stelluti alcunché di inquietante e impietoso, ma impietoso allo scopo di "denuncia".

Ed è con la dimostrazione di voler dare così grande importanza al "mestiere" (cominciando dal disegnare, chè senza disegno nessuna "incisione" può sussistere) e con l'affrontare le difficoltà e non con lo sfuggirle, che egli si apparenta agli "antichi", e non per altro, poiché la sua tematica è ben attuale attinta di esperienze e visioni al tutto personali - suscitata dalle voci che circolano; e lo spirito suo è ben quello di molti giovani d'oggi con quell'inquisire e denunciare che sembra privo di speranza, ed egli conduce in forme quanto mai oggettive, e tramuta in trascendenti.

Francesco Carnevali
Mostra personale di Roberto Stelluti

catalogo della personale alla Galleria d’Arte «L’Incontro», 

Agugliano (AN), 1982

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